Parlare del Turismo delle Radici significa coniugare il passato col presente. Il passato rappresentato dai migranti che, nell’immediato dopoguerra se non addirittura prima, lasciavano l’Italia in cerca di maggior fortuna rispetto a quella che le difficili condizioni del nostro Paese potevano loro offrire in quegli anni.
Si lasciavano case, affetti, dialetti, tradizioni e tanto altro per recarsi, con viaggi anche molto impegnativi, in paesi lontani dove poter ricominciare vite nuove, migliori. Nascevano così quelle comunità di “italiani all’estero” che oggi, sommate tra loro, indicano la cifra di circa 80 milioni di nostri connazionali che risiedono in Argentina, Brasile, Stati Uniti, Australia e in mille altri posti.
Il presente, invece, è costituito proprio dal desiderio di tornare in Italia – anche se per brevi periodi – alla ricerca di quell’identità abbandonata dai bisnonni o dai nonni, per riappropriarsi dei luoghi, dei ricordi, della cultura e dei sapori italiani, conosciuti solo grazie alle storie raccontate da chi, tutto quello, l’aveva vissuto.
Abbandonando il lirismo e scendendo nel concreto, il Turismo delle Radici possiede enormi potenzialità in quanto sostenuto dal forte desiderio di conoscere; sono grandi numeri, possibilità di destagionalizzazione in quanto si tratta di un turismo che non muove secondo le nostre logiche, maggiore propensione alla spesa grazie alla voglia di riportare “a casa” prodotti del proprio Paese d’origine, siano questi prodotti di eccellenza manifatturiera o enogastronomica. E la ricerca dei luoghi spesso fuori dai circuiti turistici tradizionali, ricerca che porta con sé il desiderio di raccontare la propria terra in ogni angolo di mondo, laddove – prima o poi, terminata la vacanza - si dovrà tornare.