Sono trascorsi poco più di dieci giorni dall’ennesimo “sconsiglio” che il nostro Ministero degli Esteri ha deciso di proclamare nei confronti di una parte dell’Egitto, e sono bastati per far nuovamente emergere una serie di situazioni che gettano un’ombra pesantissima di improvvisazione e incapacità sull’intero settore del turismo.

Che l’Egitto rappresenti una destinazione pressoché unica nel suo genere lo sappiamo tutti: ottimo clima, bellissimo mare, buoni alberghi e, soprattutto, prezzi abbordabili e validi per tutte le tasche: la vacanza ideale, quindi, capace ti tenere dodici mesi su dodici e di portare ossigeno costante nelle casse degli operatori.

Ovvio, quindi, che nel momento in cui giunge la mazzata dello “sconsiglio” si scateni il finimondo ovunque, sia da una parte che dall’altra del Mediterraneo, un finimondo che colpisce innanzitutto le Istituzioni.

Stiamo comunque parlando di una destinazione ad altissimo rischio, e lo sappiamo ormai da diversi anni: quando parliamo di altissimo rischio non ci riferiamo ai disordini o, peggio, agli attentati che potrebbero coinvolgere i turisti, ma ai problemi che le situazioni egiziane causano alle imprese coinvolte nella sua programmazione.

E qui arriviamo ai primi responsabili: le Istituzioni egiziane ed italiane, le prime incapaci di garantire quei requisiti di sicurezza che – dopo le opportune valutazioni da parte degli analisti delle Rappresentanze Diplomatiche – diventano il motivo principale del suggerimento a non intraprendere viaggi verso quella destinazione, e le seconde incapaci a far chiarezza su una materia così delicata.

I vari Ministri del turismo egiziano che si sono succeduti nel tempo (parliamo degli ultimi anni) hanno sempre garantito, a parole, la massima sicurezza, ma hanno sempre dovuto via via innalzare le misure di contenimento di un rischio potenzialmente esistente: purtroppo, quando limito i trasferimenti notturni, quando inibisco la possibilità di fare escursioni, quando faccio scortare i bus dei turisti dalla polizia o dai militari, sto implicitamente affermando che il rischio del quale si parla c’è. E questa implicita affermazione obbliga i Paesi interessati (non c’è solo l’Italia…) ad alzare le barriere a tutela della salute e dell’incolumità dei cittadini.

Allora ci chiediamo: se davvero si vogliono tutelare i cittadini nel rispetto degli interessi delle imprese – che non è cosa da poco –, per quale motivo non ci si decide a trasformare lo “sconsiglio” in qualcosa di meno interpretabile e più regolamentato?

Già, perché nell’incertezza e nel dubbio ognuno tira l’acqua al proprio mulino e se ne frega di tutto e di tutti… Vediamo cosa dicono le compagnie assicurative. Esistono sostanzialmente tre diverse linee di pensiero: la prima vede nello sconsiglio un elemento di nessuna importanza in quanto, un qualsiasi danno patito da un viaggiatore a seguito di un “atto di guerra dichiarata e non”, è automaticamente escluso dalla copertura assicurativa;  la seconda linea prevede una “valutazione” del danno (unilaterale, ovviamente…) che, quando venisse ricondotto alla situazione di crisi, sarebbe escluso dalle garanzie. Un esempio? Un cliente scivola sul bordo della piscina e chiede il risarcimento per il danno subito e per le spese sopportate; la compagnia risponde che il danno non è risarcibile in quanto dovuto all’assenza degli stracci necessari ad asciugare per terra, stracci fermi a Il Cairo a causa delle agitazioni… Fantasie? Chiedete al vostro assicuratore se sono fantasie. La terza linea, infine, stabilisce che lo “sconsiglio” determina la decadenza delle coperture in quanto è un evidente segnale dell’aggravamento della tensione sociale o di una “guerra non dichiarata”.  In pratica, ognuno fa ciò che vuole.

Lo stesso vale per gli operatori turistici che si vedono costretti – pena la chiusura delle attività – ad inventare patetici “sconsigli a tempo determinato"  minacciando agenti e clienti di penali in caso di cancellazione, e trattenendo somme per “diritti e assicurazioni” dichiarandosi legittimati a farlo. E questo segna un altro punto a favore di chi considera il nostro sistema ormai agli sgoccioli… Istituzioni incapaci di affrontare le situazioni con serietà e operatori turistici totalmente privi di onestà: cosa resta? Restano gli agenti di viaggio, e qui arriva il peggio…

Se le Istituzioni sono imprecise e poco chiare, è a causa dell’impossibilità di assumere una posizione netta per via dei tanti interessi economici e politici da soddisfare, problema che rende obbligatorio il loro agire diplomaticamente. Per lo stesso motivo – interesse – gli operatori sono costretti ad arrampicarsi sui vetri inventando le scuse più incredibili per tener botta: non lo facessero, si troverebbero davvero a dover chiudere bottega!

Ma quando si arriva agli agenti di viaggio si scopre che la disinformazione distribuita a piene mani ai propri clienti è frutto di povertà, sia nel senso più classico del termine in quanto anche i pochi spiccioli di commissione sul Mar Rosso servono, ma soprattutto nel senso di povertà culturale. E’ sufficiente leggere le decine di post sull’argomento per scoprire che la maggior parte di loro non capisce ciò che accade, né quelli che sono gli obblighi verso i clienti o ciò che rappresentano nel rapporto di compra-vendita di un pacchetto turistico.

Tutto questo ci riporta all’improvvisazione nell’affrontare situazioni ricorrenti senza prima creare regole chiare, serie e condivisibili, e all’incapacità di concepire un mondo senza Mar Rosso!

Fino a vent’anni fa, Sharm El Sheikh – così come oggi la si intende – non esisteva neppure sulle carte geografiche, eppure il turismo funzionava ugualmente: i charter decollavano e atterravano in ogni parte del mondo, i T.O. facevano ugualmente i loro business e gli agenti di viaggio proponevano e vendevano altre destinazioni ai clienti, che comunque viaggiavano.

E allora? Perché, oggi, senza le spiagge del Mar Rosso, l’intera industria turistica cade in una sorta di depressione isterica?

Si dice che “…il cliente lo chiede… costa poco…”: d’accordo, tutto vero, ma il buon senso impone a tutti di guardarsi intorno e cercare soluzioni per evitare di ricadere in un’estate 2014 dominata dall’insicurezza.

Gli operatori provino a rimodulare l’offerta ponendo le destinazioni “a rischio” in secondo piano, dando maggior spazio alle mete considerate fuori moda: forse basterebbe un nuovo packaging per farle tornare attuali per più di un cliente. E si guardi, inoltre, a quei Paesi oggi considerati di scarso interesse seppure ricchi di attrattive: potrebbero essere la chiave di volta per sfuggire ad una morsa che, oggi, pare costringere tutti al sacrificio.