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JE SUIS CHARLIE

nero-lucido_1Ciò che è avvenuto ieri a Parigi, dove 12 persone sono state uccise da alcuni uomini che le forze di polizia francesi indicano quali terroristi islamici, lascia tutti increduli, sbigottiti e furiosi. E riempie il cuore di tutti di paura.

Non erano soldati, non erano politici, e neppure appartenevano ad altre fazioni o religioni identificabili: erano giornalisti di "Charlie Hebdo", erano umoristi che – facendo satira – ironizzavano su tutto ciò che il nostro mondo ci propina quotidianamente, dalle guerre alla corruzione, dalla politica inetta all’omofobia. Satira, umorismo, battute più o meno salaci, ma non certo proiettili in grado di stroncare delle vite.

Questa strage ci fa capire che la guerra scatenata dai più accesi fondamentalisti islamici non si arresterà, e arriverà sulle nostre porte di casa ovunque noi siamo, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna e – perché no – in Italia, visto che uno dei tanti farneticanti messaggi minacciosi diffusi da questi criminali recita: “Conquisteremo Roma, distruggeremo le vostre croci e renderemo schiave le vostre donne”. Ecco il "programma di lavoro" anticipato da un esponente dell’ISIS, e mai come oggi questa minaccia tuona nelle nostre menti.

L’Italia, pur con tutte le sue imperfezioni e debolezze, e con tutte le sue carenze politiche e sociali, è sicuramente la nazione che più di tutte le altre, in Europa, ha assicurato vicinanza e assistenza a chi è fuggito da paesi tormentati da guerre per trovare pace. L’avrà fatto bene, l’avrà fatto male, ma l’ha fatto e lo fa ogni giorno, da Lampedusa ai mille ricoveri in ogni città, grazie al mondo cristiano che qualche pazzo vorrebbe distruggere e all'attenzione di tanti imprenditori che credono nelle mani di uomini che la pensano diversamente da loro. Purché lavorino.

Da oggi, la vicinanza e quel senso di apertura verso il mondo arabo che era stata una nostra caratteristica peculiare, si riduce. Viene meno la fiducia nella possibilità di integrare culture tanto diverse, viene meno – forse – il coraggio di provare. E cresce, professionalmente parlando, il timore per ciò che la paura produrrà nei viaggiatori: sarà nuovamente un incubo Egitto? O addirittura si passerà ad aver timore nel pensare al Marocco, alla Tunisia e persino a Parigi?

Gli agenti di viaggio che affollano l’etereo mondo dei social network è spaccato, esattamente come lo è l’intera popolazione: chi è pro, chi è contro, chi parla di espulsioni e di arresti in massa e chi invita ad aumentare la tolleranza per non fare “il gioco” dei cattivi. Su Twitter – forse per via della sintesi degli scritti – si sprecano le minacce e le espressioni più turpi, su Facebook il dialogo è più fluido ma ugualmente spaccato, dove ad emergere sono soprattutto i pareri delle donne, sicuramente le più colpite dalla cultura di quei Paesi che tendono a segregare più che ad eguagliare.

Cosa sarà, da domani, il già difficile rapporto col mondo arabo? Cosa accadrà nelle agenzie di viaggio necessitanti di pace più che di attentati? Sapranno ancora, gli agenti di viaggio, essere i rappresentanti per eccellenza dell’universalità culturale e del concetto di fratellanza tra popoli diversi? Forse lo faranno per necessità, per convenienza, forse faranno finta di niente nella speranza che i già risicati fatturati non diminuiscano ancora, ma ciò che è sicuro è che non tutti gli agenti guarderanno ancora ad Oriente con la solita fiducia.  

Da parte nostra – di A.I.A.V. e di tutti i giornalisti che con essa collaborano –non possiamo che stringerci alle famiglie delle vittime sentendoci noi, che scriviamo per mestiere, i più colpiti nel senso vero del termine “libertà”.

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