Scherza coi fanti ma lascia stare i Santi. E questo vecchio proverbio dovrebbe valere anche per il premier Monti, capo di un Governo in ambasce che, nonostante tante parole, si arrabatta come può. L’idea di sopprimere le festività patronali, da immolare in nome della crescita del PIL, è – chiedo scusa al professor Monti  – di una stupidità incredibile. E seppure sia tale da poterla mettere alla pari con altre idiozie tutte italiane, rischia di portare ulteriore devastazione in un settore – il turismo – che non ne può veramente più.

Il sottosegretario Gianfranco Polillo ha stimato in un punto percentuale la crescita del PIL che si avrebbe se, anziché trascorrere alcune giornate festive in preda al “fancazzismo” più assoluto, si decidesse di renderle lavorative. Per ottenere questo eccellente risultato sarebbe sufficiente eliminare sei o sette Santi… Beh, no, non proprio… Basterebbe retrocederli a Santi senza diritto di festività per “spingere” più in alto il livello di produttività del Paese.

Nessuno ci dice, però, quali benefici pratici porterebbe questa crescita produttiva, visto e considerato che gli italiani hanno sempre meno soldi da spendere e che questa soluzione – che non li renderebbe certo più ricchi - li priverebbe anche di una piccola porzione di tempo libero durante il quale spendere i quattro spiccioli rimasti. Se a questo aggiungiamo che la FIAT ha annunciato oggi che da fine agosto inizierà una forte tornata di cassa integrazione (le vendite sono al -24%), che i saldi nell’abbigliamento stanno registrando un secco -30%, che i ristoranti dichiarano un  -17% e che anche la vendita dei generi alimentari presso la GDO è in calo, qualcuno mi può spiegare per quale motivo dovremmo produrre di più?

Ovviamente il settore più colpito dalla soppressione delle festività sarebbe il turismo, a parole elevato a “elemento fondamentale per l’economia italiana” ma, nei fatti, neppure lontanamente considerato. Infatti, il concetto di tempo libero che accompagna parallelamente quello della vacanza verrebbe ulteriormente mortificato e costretto, comprimendo ancora di più  i tempi e le modalità di spesa degli italiani: è pacifico che la propensione alla spesa si accentua nei momenti di non lavoro piuttosto che in quelli trascorsi all’interno delle fabbriche o degli uffici.

Questo porterebbe ad un ulteriore calo dei pernottamenti alberghieri, dell’utilizzo dei mezzi di trasporto, dei pasti consumati in ristorante e – importantissimo – di quelle giornate che forse più di altre sanno rinsaldare il concetto di famiglia, di amicizia, di vicinanza.

Oggi, al TG1 delle 13:30, il Ministro Gnudi ci ha spiegato che il turismo potrebbe essere il traino della nostra economia, e io lo ringrazio in quanto, non ce l’avesse ricordato, noi probabilmente ce ne saremmo dimenticati. Ciò che ricordiamo invece benissimo è che il nostro Governo non ha ancora presentato nulla di credibile sotto il profilo dello sviluppo e che il Ministero del Turismo, in particolare, si sta dimostrando totalmente latitante e incapace di concepire anche una sola iniziativa per il miglioramento del comparto e dell’economia italiana. E, fatemelo dire, all’estro hanno ben ragione di prenderci per il sedere, perché se ciò che possiede l’Italia l’avesse la Germania (ad esempio…), altro che spread… Ma, se vogliamo riflettere su quanto l’Italia stia perdendo in termini d’immagine nel mondo, non teniamo lo sguardo incollato alla differenza BTP/Bund e agli incontri Monti – Merkel ma proviamo a voltarlo anche solo verso la Sicilia, una terra meravigliosamente ricca di storia, di arte, di cultura giuntavi grazie a mille popolazioni diverse che l’hanno reso una delle isole più celebrate del mondo: oggi rischia il default, il fallimento, l’azzeramento economico.

E, guarda caso, la Sicilia è certamente la regione italiana dove la totale disattenzione al turismo e ai suoi potenziali,  innegabili risvolti economici, hanno creato un disastro incredibile: le strutture alberghiere risultano qualitativamente inferiori alla media nazionale, la situazione delle infrastrutture è di poco superiore a quella degli anni ’50, l’Amministrazione Regionale è sicuramente in vetta ad ogni confronto in termini di sprechi, di clientelismo e di inefficienza, tant’è che la Sicilia è l’unica regione italiana in cui non si applicano sanzioni di alcun genere nei confronti di chi esercita abusivamente una qualsiasi attività. Perché? Perché nella grande attenzione da sempre prestata a non scontentare nessuno – massimo paradigma della politica corrotta e collusa – si sono “dimenticati” di definirle.  Inutili i commenti ma necessaria la riflessione