Sono sempre più numerose le richieste di pareri di carattere legale in conseguenza alle sanzioni comminate da diversi Comuni per l’omesso pagamento dell’imposta dovuta per la “pubblicità” in vetrina da parte delle agenzie di viaggio e turismo. Il presupposto sul quale i Comuni basano la loro pretesa si fonda sul fatto che, secondo questi, i cataloghi e le proposte di viaggio esposte rappresentano pubblicità, e non esposizione di prodotti in vendita.

Il D. Lgs. del 15.11.1993, n. 507, definisce chiaramente, all’art. 5, il “presupposto” per il quale può esservi assoggettamento all’imposta nel seguente modo:  1) La diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto.   2) Ai fini dell’imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato.

E’ in particolare il 2° comma che viene ritenuto fondamentale per l’applicazione dell’imposta, laddove il catalogo o il folder vengono considerati “messaggi destinati a promuovere la domanda” o, addirittura, a “migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato”, il tutto senza considerare in alcun modo la natura dei servizi trattati dall’agenzia di viaggio che esclude, ovviamente, la possibilità di porre in vetrina una bella spiaggia, un treno, una nave da crociera.

La vicenda si trascina da anni, e già nel 2005 - a seguito di una nostra iniziativa condotta con la collaborazione dell’avvocato Camillo Il Grande - l’allora Ministero dell’Economia e delle Finanze espresse un proprio parere circa l’applicabilità e la non applicabilità dell’imposta per le agenzie di viaggio, considerando appunto la natura dei prodotti e dei servizi da esse trattati.

Nonostante ciò, i Comuni hanno comunque insistito nel definire soggetto imponibile d’imposta l’agenzia di viaggio per la “pubblicità” trasmessa dalle proprie vetrine. La soluzione drastica sarebbe quella di evitare tassativamente di porre in vetrina cataloghi, totem e materiale illustrativo di qualsiasi tour operator, affidando la comunicazione a mezzi più anonimi quali locandine prive di richiamo ai fornitori ma recanti esclusivamente il puro oggetto del servizio, o cartelloni da realizzarsi artigianalmente dove elencare, ad esempio, “Hotel cat. 4**** a Rimini” piuttosto che “Crociera nel Mediterraneo a bordo di M/N di Lusso”, evitando di citare il brand del T.O., il nome dell’hotel e quello della nave.

Recentemente è però nata una forte resistenza a questa imposta frutto dell’ottusità e dell’insaziabile appetito di molte giunte comunali, una resistenza che ha già visto le prime sentenze emesse a favore di agenzie di viaggio, seppure appellate: è il caso dell’agenzia Arcadia di Cesenatico che, sanzionata per non aver corrisposto la tassa, ha chiamato in causa il Comune vincendo su tutta la linea. Inspiegabilmente – in quanto privo di qualsiasi logica arma – il Comune ha appellato la sentenza. Vi terremo aggiornati sull’esito della vicenda.

E’ però da considerare che il parere del 2005 del Ministero è stato particolarmente utile per far valere davanti al Giudice le ragioni dell’agenzia, e l’invito che rivolgiamo quindi a tutti gli agenti di viaggio è quello di contestare la tassazione e, ancora di più, le eventuali sanzioni comminate per il mancato pagamento della medesima.  La documentazione in ns. possesso è a disposizione dei colleghi.

Dr.ssa Federica Benincasa - Servizio Legale